Onorevoli Colleghi! - È ormai necessario avviare, in Parlamento e nel Paese, un serio confronto, privo di pregiudizi ideologici, su un tema tanto delicato, quale è quello relativo all'affermazione del diritto ad una morte dignitosa, del diritto cioè di ciascun individuo di scegliere le modalità dell'interruzione della propria sopravvivenza, nel caso di patologie non curabili e pervenute alla fase terminale.
      La necessità di un confronto, nel rispetto reciproco di posizioni diverse, sul ruolo che deve avere lo Stato, e la sua legislazione, rispetto alle decisioni individuali, anche quelle che riguardano la propria vita, o la possibilità di una «dolce morte» - chiaramente in situazioni in cui vi siano precise condizioni tali da far consapevolmente scegliere una morte non dolorosa rispetto a una «sopravvivenza» caratterizzata da sofferenze non più sopportabili, da una «non vita» in quanto ormai priva di dignità a causa di malattie che non danno speranza di prognosi positive - ha trovato spesso conferma, oltre che nelle riflessioni di malati terminali con sofferenze insopportabili, anche in quelle di alcuni medici: «Assisto ormai da anni molti pazienti malati di cancro (...). Nei loro occhi, negli ultimi giorni della loro vita, ho letto la voglia di farla finita. Qualcuno mi ha chiesto di espressamente di aiutarlo in questo senso. La mia coscienza, l'etica, la fede, il senso di umanità, la cultura hanno vacillato. E oggi mi chiedo se questo mostro quasi impronunciabile,

 

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l'eutanasia, sia da giudicare assolutamente impraticabile» (estratto di una lettera pubblicata da La Repubblica in data 5 novembre 2002).
      Questa, come altre testimonianze, non possono non fare riflettere sul fatto che il «diritto alla vita» non può essere inteso come una coercizione a «vivere», indipendentemente dalle condizioni concrete di una simile «sopravvivenza».
      Certo, non può essere il legislatore a dare una risposta a dilemmi etici e filosofici, ma il Parlamento - di fronte ad un problema così rilevante e che riguarda migliaia di persone - non può limitarsi a rimuoverlo, ma ha il dovere di affrontarlo dando una risposta che deve tenere conto della realtà.
      Nel caso di un individuo affetto da patologie non curabili e pervenute alla fase terminale, non appare insensato, ma anzi diventa un dovere giuridico e morale, accordare (al singolo) la facoltà di scegliere la modalità della propria esistenza, definendo con chiarezza una normativa che impedisca abusi e tenga conto della effettiva volontà della persona malata.
      In qualsiasi campo, e quindi anche quando si parla di vita o di morte e, in particolare, del diritto a una vita dignitosa e alla scelta di una morte che faccia cessare sofferenze e dolori non sopportabili, il concetto di «dignità» deve essere valutato tenendo conto della situazione soggettiva (ciò che può essere considerato «indegno» per qualcuno, per altri può essere espressione del massimo di «dignità»); analoga relatività deve, quindi, riconoscersi anche al concetto di vita dignitosa e di morte dignitosa.
      Questo è il principale motivo per il quale deve essere riconosciuta al singolo la facoltà di auto-determinazione in scelte fondamentali quali quelle che riguardano la sua vita e la sua morte. Soprattutto in presenza di una malattia terminale e di dolori insopportabili: situazione che può ben assumere la connotazione di «non-vita», oppure di vita «meramente apparente», caratterizzata cioè da un massimo di sofferenza e da un minimo di «condizione umana dignitosa». In altre parole, in tale situazione ognuno, fino al momento in cui è pienamente consapevole, deve essere messo in condizione di poter esercitare una scelta di prosecuzione ovvero di interruzione della vita.
      I firmatari della presente proposta di legge, che hanno presentato anche una proposta di legge recante «Disposizioni in materia di interruzione volontaria della sopravvivenza» (atto Camera n. 1182), ritengono opportuno, quindi, porre all'attenzione del Parlamento una ulteriore proposta di legge che nasce dallo studio della legge approvata dal Parlamento belga il 16 maggio 2002 e che, sotto condizioni rigorose, autorizza l'eutanasia.
      L'ottica nella quale si pone la presente proposta di legge è quella del riconoscimento della possibilità di scegliere la modalità della fine della propria esistenza, nel caso di patologie non curabili e in fase terminale, quale aspetto del diritto a non essere sottoposti a trattamenti sanitari senza il proprio consenso, sancito dall'articolo 32 della Costituzione, dal codice di deontologia medica e dalla Convenzione del Consiglio d'Europa per la protezione dei diritti dell'uomo e della dignità dell'essere umano riguardo all'applicazione della biologia e della medicina, fatta a Oviedo il 4 aprile 1997, resa esecutiva ai sensi della legge 28 marzo 2001, n. 145. Tale Convenzione prevede il diritto di ciascun individuo di scegliere di interrompere la propria sopravvivenza nel caso di malattie con prognosi infausta e in fase terminale, mediante un'apposita dichiarazione di volontà, revocabile e modificabile in qualunque momento. Ne consegue che il medico che pratica l'eutanasia non è punibile se rispetta le condizioni e le procedure indicate dalla legge e, in particolare, se ha preventivamente accertato che:

          a) il paziente è maggiorenne, capace di intendere e di volere al momento della richiesta;

          b) la richiesta di eutanasia è stata formulata volontariamente, è stata ben ponderata e ripetuta, e non è il risultato di una pressione esterna;

 

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          c) il paziente è affetto da una malattia con prognosi infausta e in fase terminale, senza alcuna prospettiva di sopravvivenza, e le sue sofferenze fisiche o psichiche sono costanti e insopportabili e tali da non poter essere eliminate con trattamenti farmacologici, a causa di lesioni psicofisiche o di una malattia grave e incurabile.

      L'eutanasia può essere anche praticata nei confronti di persone affette da patologia grave ed incurabile e che non sono più in grado di intendere e di volere (e non potrebbero quindi effettuare una valida richiesta di eutanasia), qualora queste abbiano sottoscritto la cosiddetta «dichiarazione anticipata», entro i cinque anni immediatamente precedenti la situazione che rende impossibile la manifestazione cosciente della propria volontà.
      È inoltre prevista l'istituzione di una Commissione nazionale che verifica se l'eutanasia sia stata effettuata secondo le condizioni e le procedure previste.
      La presente proposta di legge, è opportuno ripeterlo, ha lo scopo di aprire un dibattito in Parlamento che possa, nel rispetto delle opinioni di tutti, portare una risposta il più possibile condivisa non solo rispetto a scelte, di certo non facili, che molti - medici, malati e loro familiari - si trovano quotidianamente a dover fare, ma anche rispetto a un tema su cui il dibattito e il confronto nel Paese sono sempre più attuali.

 

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